Scenari

Tratta dei migranti, ecco le chat che svelano come funziona

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di Chiara Giannini

«Ciao, mi chiamo Amin, sono in Italia e un amico mi ha fornito il tuo numero. Sono egiziano e vorrei sapere quanto costa il viaggio dalla Libia all’Italia per mio fratello»: inizia così la nostra conversazione Whatsapp con due scafisti, il cui numero è stato reperito su una delle tante pagine Facebook che sponsorizzano i viaggi della speranza verso l’Italia.

I trafficanti di esseri umani ci rispondono dopo circa 6 ore, rigorosamente dopo le 22. Il primo è di poche parole: circa 3mila euro. Il secondo ci manda un messaggio vocale, che traduciamo grazie a un amico libico residente in Italia. «Perché mi scrivi con un numero italiano?», ci chiede sospettoso. Lo rassicuriamo e lui inizia una lunga conversazione.

Ci dice che le partenze sono due: una prima della fine del Ramadan, la seconda alcuni giorni dopo. «Il viaggio è sicuro – prosegue – l’appuntamento sarà a Marsa Matriuh, al confine tra Egitto e Libia. Da lì partiremo per Tobruk e il barcone partirà». Gli chiediamo se il viaggio sia sicuro. Lui ci risponde: «Abbiamo accordi con la Guardia costiera libica, ci fanno passare». E continua: «Cinque giorni fa una barca si è rotta. Ci hanno aiutati a rientrare e a ripararla e poi è ripartita. Sai, se questo accordo non esistesse non avremmo mai raggiunto un così alto numero di partenze».Gli chiediamo se siano certi che il “fratello arrivi sulle coste italiane”. Ci risponde: «Dopo che il viaggio è iniziato è poi difficile avere i contatti, ma lui può acquistare una scheda egiziana con prefisso internazionale 010. Quando arriverà in Italia lo potrai sentire. Starà 14 giorni in quarantena e poi sarà libero». Gli rispondiamo che gli faremo sapere.

Dalle pagine Facebook dei trafficanti di esseri umani traspare ogni cosa.

«Ma non tutti i libici o gli egiziani sono così – ci racconta il nostro traduttore -. Anche noi vogliamo combattere la criminalità che non giova a nessuno, finanzia il terrorismo internazionale e fa passare un messaggio sbagliato, ovvero che tutti gli arabi siano così». Dai siti si capisce benissimo come stanno le cose

Il viaggio costa intorno ai 3mila euro, il doppio se si arriva da Paesi lontani come l’Egitto, da dove si prende un bus per attraversare il deserto e varcare il confine libico, fino a Tripoli, Tobruk, Bengasi, Sabratah. Ormai gli scafisti non si nascondono più. Per sponsorizzare i tour della speranza verso l’Italia usano i social network, per lo più Facebook e canali Telegram dedicati facilmente reperibili.

Gli annunci sono tutti simili:

“Vuoi raggiungere le coste siciliane? Vuoi realizzare il tuo sogno? Viaggia con noi, l’arrivo è sicuro, se Allah vuole”.

Qualcuno chiede di telefonare ai numeri indicati, altri preferiscono contatti privati in ore serali.

Le opzioni sono diverse, a seconda di dove si parte. Dall’Egitto per arrivare a Bengasi in autobus o su un camioncino si chiedono 8mila dinari libici, circa 1.500 euro, per Tripoli ne servono 15.500, ovvero poco meno di 3mila euro. Lì si garantiscono vitto e alloggio, non si specifica dove e poi il viaggio verso l’Italia, che in media costa altri 3mila euro. C’è anche chi ne propone a 5mila dollari, ma solo perché si viaggia su barconi di dimensioni più grandi, stile peschereccio.

«Però abbassate i prezzi – prova a polemizzare qualcuno -, perché c’è crisi ovunque e siamo in molti a non avere soldi».

Gli risponde a tono un trafficante di esseri umani: «Se vuoi partire è così. Nel tuo Paese è l’equivalente di uno stipendio».

Chi parte non sono i poveri dell’Africa subsahariana o le donne delle baraccopoli di Gibuti, ma quasi tutti uomini, potenziali lavoratori, che sognano di raggiungere l’Italia nella speranza di trovare un lavoro.

Sulla pagina “Arab immigrants in Europe”, intestata a un sedicente giornalista arabo che incita la gente a partire, si riporta che “l’Italia ha dichiarato lo stato di emergenza per i migranti”. Dai commenti si capisce che la preoccupazione è enorme e si chiede il perché “di tanta cattiveria”. C’è chi risponde che il nostro Paese “ha dato anche troppo”. Ma poi qualcuno interviene: “Siano maledetti”.

In un post su una pagina di trafficanti di esseri umani un tizio chiede se sia vero che per partire bisogna avere meno di trent’anni e perché.

A quanto pare, dalle risposte sembra aver ragione. Ma è facile capirlo guardando i numerosi migranti clandestini che sbarcano sulle coste del Sud Italia: tutti giovanissimi.

«Mio fratello – scrive una donna – ha 38 anni ed è partito. Ma conosceva qualcuno».

In mezzo a tanti messaggi c’è persino spazio per la superstizione, perché qualche scafista ricatta chi parte, soprattutto senegalesi e congolesi, minacciandoli con l’ombra di riti vodoo. “Non aver paura dei problemi derivanti da problemi psichici, da influenze negative esterne e da paure personali. Rivolgiti allo sceicco e ogni oscuro male sarà annullato”, pubblicizza un tizio che nella foto porta un turbante. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Persino la lista dei nomi di chi dopo due giorni di viaggio ha raggiunto le coste siciliane, con relativi video a bordo della Geo Barents, nave Ong dei soccorsi o quella dei morti in mare, con i commenti dei familiari disperati.

Ma nonostante si citino le tragedie, c’è chi si fa ancora convincere a partire verso la El Dorado europea: l’Italia che accoglie tutti e che manda persino “la Guardia costiera” a recuperare i migranti.

Molti annunci parlano anche di “recupero visti”. Una curiosità, perché i veri visti per i Paesi Schengen vengono emessi dalle ambasciate. Tempo fa furono segnalati casi di funzionari diplomatici che in alcune nazioni africane fornivano visti dietro corrispettivo. Su un gruppo Telegram in arabo molti inviano i loro documenti proprio con questo scopo, ricevendo poi da chi fornisce il servizio le indicazioni per il pagamento.

In un post si parla di nuovi metodi per raggiungere l’Italia. “Basta passare dall’Arabia Saudita”, scrive qualcuno. Si specifica solo che si può “arrivare in Italia regolarmente in aereo”. Ma c’è chi chiede come sia possibile se non si ha un lavoro.

E qualcuno lancia l’allarme: “Attenzione, si tratta di una truffa”. Se non fosse vero sembrerebbe uno scherzo. I migranti accettano di prendere la via del mare, facendosi in media 19 ore di traversata, spesso in condizioni proibitive, in 3-400 su uno stesso barcone e con onde altissime, rischiando la vita e poi di fronte alla prospettiva di prendere un aereo parlano di “truffa”.

Per invogliare le partenze gli scafisti pubblicano anche foto di giovani già arrivati sulle coste italiane. Fanno credere che chi giunge nel nostro Paese potrà avere una condizione di vita migliore. Eppure in pochi si accorgono che è tutto uno specchietto per le allodole.

«Io sono riuscito a partire – scrive un egiziano -, ma poi la guardia costiera libica mi ha riportato indietro. Secondo voi posso riprovarci»? La risposta è quasi univoca: «Tu riprovaci, ma ormai sei schedato, sei stato in carcere, se ti riprendono…».

Ciò che si apprende è che in quasi tutte le conversazioni si nomina Dio. “Allah, se vuole, può farci arrivare sani e salvi”, dicono in molti.

Insomma, se la volontà di Dio è quella loro, arriveranno in Italia.

Quel che si nota, rispetto al passato, è un’acredine crescente, un astio nei confronti di chi prova a bloccare le partenze. Se la prendono col governo, con l’Italia che non li farà entrare e, allora, la mente corre veloce. E la domanda è spontanea: che aumenti il rischio di qualche azione terroristica?

Perché chi organizza i viaggi, chiedendo cifre assurde, non è disposto a vedersi bloccare il business. Da queste conversazioni è più che evidente. Come lo è che studiando i profili di chi chiede di partire si scopre che si tratta per lo più di gente proveniente da Tunisia, Bangladesh, Egitto, ovvero territori in cui non ci sono guerre, ma da cui si parte con lo stipendio minimo in tasca nella speranza di trovare una fortuna migliore.

Fanno tutto pur di partire, anche a costo del bene più grande: la vita.

Coordinamento Sco-Squadre mobili: nei primi tre mesi  arrestati 30 scafisti

Egitto, Tunisia, Algeria e Turchia: sono i Paesi da cui proviene la maggior parte degli immigrati. Le rotte del Mediterraneo sono cambiate. I trafficanti di esseri umani sanno bene che a venire in Italia non sono più i libici, ma migranti economici che puntano ad arrivare per lavorare per lo più al nero.

Bloccare le partenze illegali non è semplice, ma le Forze dell’ordine operano senza sosta per assicurare i criminali che trafficano vite umane. Il Servizio centrale operativo della direzione centrale anticrimine è l’ufficio che per la Polizia di Stato effettua le attività di coordinamento delle indagini che vengono fatte dalle Squadre mobili presenti sul territorio italiano.

«Per indagare a livello transnazionale puntando l’attenzione su ciò che sta dietro alle rotte dei migranti – spiega il primo dirigente Marco Martino, dello Sco della Polizia di Stato – dobbiamo fare qualcosa in più e noi ci poniamo a disposizione delle Squadre mobili per le nostre capacità di operare con soggetti esteri grazie anche alla nostra expertise. La funzione dello Sco è quella di partecipare alle indagini sul traffico dei migranti partendo da un collegamento internazionale necessario allo scopo».

Martino specifica: «Il nostro ruolo con la Polizia di Stato si duplica sul territorio negli aspetti investigativi anche nella fase successiva lo sbarco. Da un anno e mezzo circa stiamo smistando la parte di primo approccio investigativo visto la crescita dei flussi del Mediterraneo centrale, per alleggerire il lavoro dei colleghi nelle località di sbarco. Poi il Dipartimento delle libertà civili del ministero degli Interni ricolloca questi migranti in varie località, anche del Nord. Ed è anche in quei luoghi che  diamo la possibilità ai colleghi di fare delle investigazioni, che spesso poi trovano un riscontro positivo». Perché capita spesso che i soggetti con un ruolo primario nel traffico di migranti possano essere riconosciuti non soltanto a Palermo, Catania o Agrigento, ma anche nelle regioni in cui vengono poi smistati.

«Il ruolo secondario dello Sco – prosegue Martino – è di diventare parte attiva nella cooperazione, perché oggi l’indagine transnazionale non ha senso senza approfondite attività di cooperazione internazionale anche attraverso Europol, Interpol, ecc. Questo ci consente di accedere ai database internazionali che possono facilitare il lavoro».

I dati parlano chiaro: tra il 1° gennaio e il 3 aprile 2022 arrestati 21 scafisti (8 dalla Turchia, 4 dall’Uzbekistan, 4 dall’Ucraina, 1 dall’Egitto, 2 dal Turkmenistan, 1 dalla Costa d’Avorio e 1 dal Senegal). Nello stesso lasso di tempo del 2023 gli arresti sono stati 30 (16 trafficanti dall’Egitto, 5 dalla Tunisia, 3 dalla Siria, 2 dall’Uzbekistan, 2 dall’Iraq, 2 dall’Azerbajan, 2 dal Gambia, 2 dal Pakistan, 1 dalla Guinea, 1 dalla Libia, 1 dalla Turchia, 1 dall’Algeria e 1 dal Senegal).

Nei primi mesi del 2023 abbiamo avuto un incremento del 300% delle partenze dei tunisini e di oltre il 200% degli algerini. E ciò non fa ben sperare. Con l’arrivo della stagione calda il rischio è di un ennesimo boom di arrivi.