Scenari

La guerra si infiltra nelle rotte migratorie?

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di Silvio Magnozzi

L’immigrazione, oltre che una tragedia umana di milioni di persone in fuga dalle loro terre verso l’Italia e l’Europa, in cerca di una vita migliore e di speranze per il proprio futuro e per quello delle loro famiglie, può essere oggi usata anche come un’arma contro il nostro Paese schierato in difesa della libertà dell’Ucraina contro l’invasione russa?

La domanda è necessaria e va posta, soprattutto dopo le parole usate nei giorni scorsi dal ministro della Difesa Guido Crosetto che, a proposito dell’emergenza immigrazione cui l’Italia rischia di andare incontro in primavera e estate (i servizi del nostro Paese hanno parlato addirittura di 685mila migranti irregolari – e non solo – pronti a partire dalla Libia), non ha usato mezze parole ed ha chiamato in causa i mercenari russi della Wagner e la loro presenza in Africa.

Mi sembra che ormai si possa affermare che l’aumento esponenziale del fenomeno migratorio che parte dalle coste africane sia anche, in misura non indifferente, parte di una strategia chiara di guerra ibrida che la divisione Wagner, mercenari al soldo della Russia, sta attuando, utilizzando il suo peso rilevante in alcuni paesi Africani.

Il capo della Wagner, Yevgeny Prigozhin, ha replicato a Crosetto persino con degli insulti per dire – lasciando perdere le offese e andando alla sostanza – che loro non hanno idea di “cosa stia accadendo in merito alla crisi dei migranti” aggiungendo che non se ne occupano. Di certo, Wagner o no, in Africa un problema reale di instabilità esiste e si chiama Libia, un Paese non ancora pacificato, con le elezioni lontane e da cui salpano molte navi di migranti verso l’Italia (oltre alla Libia un altro Paese africano dove le partenze sono in continuo aumento in questa fase è la Tunisia).

Ad esser realisti, insomma, con l’arrivo della stagione più calda, se non verrà affrontata dall’Italia e dall’Unione europea la questione libica in maniera concreta, cercando un equilibrio in quel Paese, parlare di politiche per l’immigrazione diventerà assai complicato e persino utopistico. Il Paese africano è spaccato tra la fazione della Tripolitania e quella della Cirenaica e secondo i dati del Viminale (citati dall’Agenzia Nova) dalla Libia i migranti sbarcati in Italia alla data del 13 di marzo di quest’anno, registrano un aumento dell’80% circa rispetto allo stesso periodo dell’anno passato.

Una fonte libica avrebbe poi riferito all’Agenzia Nova che circa due terzi dei barconi partono dalla Libia orientale (la Cirenaica), controllata del generale Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico. Una rotta da cui partono soprattutto cittadini egiziani, siriani e bengalesi. Si tratta di un trend che si starebbe consolidando già da alcuni mesi, a cui va aggiunto un altro dato che aiuta a comprendere la situazione: la metà dei quasi 100mila migranti sbarcati in Italia nel 2022, è partita proprio dalla Libia.

In questo quadro complicato e drammatico al tempo stesso, che interroga la ragione ma anche la coscienza di ognuno di noi, la politica (a cominciare dalle opposizioni) dovrebbe evitare ideologismi sull’argomento immigrazione e far proprie le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che giusto alcuni giorni fa, durante la sua visita di Stato in Kenya, a proposito dell’immigrazione ha detto:

Cerchiamo un rapporto di collaborazione con i Paesi di origine e transito dei flussi di migranti ma sappiamo che la dimensione epocale e crescente del fenomeno migratorio non è affrontabile da un solo Paese, ma solo con una lucida e organica azione europea che affronti il problema con un’azione sistemica.