Le opinioni

L’inverno demografico si combatte anche con il contribuente “famiglia”

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di Antonio Tomassini  – Professore di diritto tributario, Partner DLA Piper Studio Legale

La mano che fa dondolare la culla è la mano che regge il mondo. Questa celebre frase di Wallace dovrebbe risuonare quanto mai attuale nell’inverno demografico che stiamo vivendo.

Fare figli è migliorarsi, progredire, prosperare, anche economicamente. L’invecchiamento della popolazione italica, il picco più basso per la natalità (nel 2022 sotto i 400mila neonati per la prima volta, tanto che pure Musk ci dice che stiamo scomparendo), 1 milione di emigrati quasi tutti under 35, negli ultimi 10 anni, sono moniti inequivocabili per i nostri fondamentali.

Se ci proiettiamo nei prossimi decenni, gli attuali paradigmi di misurazione della salute dell’economia (che invero dovrebbero cambiare, dando più attenzione al benessere della persona e meno alla dittatura del Pil e del debito pubblico), ci dicono che la nostra spesa pubblica sarà insostenibile e che abbassare le tasse sarà sempre più difficile.

Cosa può fare la nostra rubrica fiscale rispetto a questo? Poco, senz’altro, perché occorrerebbe incidere in modo sistematico sulla cultura del nostro popolo, le sue paure, la sua (s)fiducia verso le istituzioni e più in generale verso il futuro.

Qualcosa, tuttavia, il fisco può fare. È giunto il momento, reso propizio dal risveglio dell’attenzione politica su questi temi e dalla necessità di attuare la legge di delega fiscale, di passare dal contribuente “singolo” al “contribuente famiglia”.

Per perseguire questo obiettivo occorre in primis fotografare la distribuzione della ricchezza delle famiglie, attualmente non intercettata né dalla dichiarazione dei redditi, né da indicatori come l’Isee (indicatore della situazione economica equivalente).

Il sistema della dichiarazione, che non riporta i redditi tassati alla fonte, i beni patrimoniali, i debiti, ecc., va superato. I paperoni in Italia non sono certo (dati MEF) quell’1% di italiani che dichiarano più di 150mila euro, perché questo dato riguarda solo i redditi da lavoro e da pensione.

Occorre pensare ad una dichiarazione dei beni della famiglia (non per tassare, ma appunto per fotografare) che affianchi quella sui redditi e la semplifichi, inglobando l’anacronistico quadro RW sul monitoraggio dei beni esteri e indicatori tipo l’Isee. Dovrebbe snellire gli adempimenti e magari anche le imposte patrimoniali (le patrimoniali in Italia ci sono già!) ed arrivare a liquidare in modo unitario ed automatizzato Ivie/Ivafe, Imu, imposte locali e bollo auto. Ciò aiuterebbe la lotta all’evasione da riscossione, fenomeno ancor più dannoso dell’evasione tout court. La dichiarazione potrebbe poi essere utilizzata per finalità assistenziali e per calibrare i trasferimenti. E potrebbe, poi, accogliere un meccanismo stile quoziente familiare francese. La dichiarazione potrebbe inoltre avere degli indici di congruità che portino ad escludere verifiche.

Al contribuente andrebbe assegnata una “classe” determinata sulla base di un algoritmo che tenga conto:

  • del reddito medio degli ultimi anni;
  • del patrimonio liquido (c/c, depositi), dedotti debiti, mutui e garanzie personali (fideiussioni);
  • del patrimonio illiquido (immobili, polizze, beni mobili quali macchine, barche ecc., società di cui si è titolari effettivi), dedotte garanzie reali (ipoteche) e debiti, mutui e garanzie personali;
  • della situazione familiare (comunione, separazione, divorzio, numero dei figli, disabili, presenza di fondi patrimoniali, patti di famiglia, trust, società semplici).

Avanti con il “contribuente famiglia”!