Le opinioni

Le aziende valorizzino chi sbaglia ma sa imparare

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di Antonio Dini – Giornalista e scrittore

Il mestiere di noi giornalisti ha tanti difetti ma anche un grande privilegio. Non quello che diceva Luigi Barzini jr.: «Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare, ma richiede molto tempo libero». Per me il vero privilegio è la possibilità di incontrare persone fuori dalla norma. Raccontando le loro storie e il loro pensiero, qualcosa rimane attaccato anche a noi.

A me, in particolare, è rimasto quel che mi disse anni fa nel suo ufficio di Malmesbury Sir James Dyson. L’inventore che ha costruito la “Apple degli aspirapolvere” nella rimessa per gli attrezzi della casa di campagna (dove era andato a vivere con la moglie appena laureato perché costava meno di un affitto a Londra) mi disse: «Ho fatto molti errori, ma da ogni sbaglio, da ogni fallimento, ho imparato qualcosa. Sbagliare è il miglior modo per imparare». E me lo ha detto uno che, per realizzare il primo aspirapolvere ciclonico su cui ha fondato il suo impero, si è costruito da solo 5.125 prototipi. Tutti da buttare.

Dyson è noto per lavorare con una strategia pensata per il lungo periodo. La sua azienda non è quotata in Borsa perché non vuole la pressione delle trimestrali e azionisti tra i piedi. Vivere in tempi incerti non vuol dire cambiare idea ogni cinque minuti, ma formare persone competenti che sanno imparare dai loro sbagli e tenerle il più a lungo possibile.

Questa strategia paga, visto i successi di Dyson come imprenditore (è la seconda persona più ricca del Regno Unito) e come azienda. Ed è per questo che rimango perplesso quando leggo, sempre più spesso, consigli per sopravvivere all’incertezza del presente centrati sull’idea di cambiamento rapido e a tutti i costi. Chi lavora in azienda, dice l’opinionista americano Cameron King, se non cambia lavoro al massimo ogni due anni arriva a guadagnare fino al 50% in meno dei suoi colleghi “infedeli”. Perché le imprese, dice, devono poter cambiare tutto velocemente: si devono “liberare” delle competenze che non servono e avere subito e a caro prezzo quelle che non hanno in casa. Ergo, ai dipendenti conviene giocare d’anticipo e cambiare spesso.

Un mercato del lavoro fatto così secondo me presenta un problema di fondo: non costruisce, perché non contempla lo sbaglio. Cioè, non viene premiato chi resta, sbaglia e impara. Invece, vince chi se ne va prima che l’azienda si liberi di lui. Velocità sopra la qualità. I dipendenti sono creature razionali tanto quanto gli imprenditori, e capiscono abbastanza rapidamente cosa conviene fare: in questo ambiente è meglio costruirsi competenze da colloquio di lavoro anziché reali.

Sbagliare? Non fa più parte del vocabolario di un curriculum vincente. E invece, dovrebbe essere alla base: nel Dna delle persone e delle aziende. Fallire e avere la costanza e capacità di imparare sono idee che vanno a braccetto: è la mentalità di cui abbiamo bisogno.

Nel lungo periodo paga molto più tenersi ben strette le persone che sanno sbagliare e imparare dai loro sbagli anziché quelli che arrivano come un meteorite con un curriculum immacolato ma schizofrenico e che probabilmente tra 18-24 mesi saranno già da un’altra parte.

Questo però richiede che gli imprenditori e i manager abbiano la capacità di vedere le persone, oltre che saper ragionare sul lungo periodo. L’opposto di una mentalità da startup con l’exit a cinque anni. Ma questo è l’argomento per un’altra volta.