Le opinioni

Il sorriso risorsa strategica, nella ricerca di un lavoro può valere più del curriculum

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di Antonio Dini – Giornalista e scrittore

Per trovare lavoro bisogna saper sorridere, in ufficio e fuori. L’ho capito un po’ di tempo fa, quando mi sono trovato in taxi, bloccato nel traffico (e un po’ nervoso perché il tassametro ovviamente girava). A un certo punto il tassista si è girato verso di me e come per scusarsi mi ha detto: «Troppa gente in giro, per forza si finisce bloccati in mezzo al traffico».

Il problema è che non siamo mai bloccati in mezzo al traffico. Siamo noi il traffico che blocca tutto. Perché già è difficile riuscire a vedere il problema, figuriamoci vedere noi stessi come parte del problema. È normale non capire che siamo anche noi quelli che creano il clima sbagliato o fanno perdere stimoli e spinta a un’azienda, fa parte della nostra narrativa come individui, ma è al tempo stesso un errore di prospettiva notevole da correggere.

Questo per introdurre la domanda che mi sono fatto e che ora posso fare a voi: quando è stata l’ultima volta che avete sorriso, in ufficio?

Perché ci sono studi e ricerche, oltre ai manuali di chi si occupa della gestione delle risorse umane, che identificano la qualità della vita in ufficio e quindi del lavoro che viene fatto come derivata di una funzione molto semplice: l’attitudine delle persone. Il sorriso, per essere precisi. Che è fondamentale, tanto che siamo tutti molto bravi a criticare colleghi e colleghe musoni, negativi, aggressivi. Salvo che poi, come il traffico, lo siamo anche noi.

Leggiamo infatti l’attitudine negativa come se fosse esclusivamente quella degli altri, mentre ci riguarda direttamente. Sorridiamo anche noi? Temo di no, almeno nel mio caso no, ma anche in quello della maggior parte delle persone che conosco. Sorridere sembra una stupidaggine: alla fine conta di più fare bene il proprio lavoro, no? Beh, no, non è così semplice. Il sorriso è una risorsa strategica. Perché definisce il vero clima di un’azienda e la compatibilità di una persona con questo ambiente.

Seguitemi un attimo. Tra una decina di anni probabilmente i curriculum tradizionali non esisteranno più. La digitalizzazione della nostra vita quotidiana da un lato e il cambiamento continuo delle competenze necessarie al lavoro renderanno sempre meno importante quello che abbiamo fatto dieci, quindici, venti anni fa. Per avere informazioni su di noi basterà mandare un assistente digitale intelligente in rete a fare una ricerca.

Certo, è importante sapere se una persona ha studiato, perché dimostra, al di là delle competenze (che peraltro evaporano dopo poco), che questa persona ha avuto la capacità di seguire un progetto importante come un corso di studi e portarlo a termine con successo.

E ancora: cosa importa quale precedenti posizioni sono state coperte, se poi il lavoro di domani sarò completamente diverso? È più importante capire qual è la reputazione di una persona, il suo “brand”, visto che cercare un nuovo lavoro in definitiva sarà una questione di reputazione più che di sole competenze.

Per le aziende il vero brand non è il logo o il ritornello della pubblicità, è invece quello che le persone pensano e dicono di quel marchio. Così come la cultura di un’azienda non è quel che viene scritto nei manifesti e nelle dichiarazioni di principio, ma quello che dicono gli impiegati quando non c’è il capo.

Allo stesso modo, il nostro brand è quello che facciamo e che gli altri dicono di noi, conservato dalla memoria digitale della rete e da quella dei nostri colleghi. Per questo bisogna saper sorridere. È solo il primo passo, ma è necessario, sennò non si va da nessuna parte. Se ci provate sul serio, però, scoprirete che il resto viene praticamente da sé: essere positivi, curiosi, aperti ad altri punti di vista, privi di malizia e generosi nelle valutazioni. Viene tutto da sé.