Le opinioni

Il paradosso del vincitore e l’elogio della sconfitta

Scritto il

di Antonio Dini

Qualche anno fa un amico imprenditore mi ha raccontato di un proverbio giapponese che lo aveva aiutato in un momento di difficoltà (aveva dovuto chiudere l’azienda e vendere casa). Il proverbio è semplice:

Cadi sette volte, rialzati otto.

I giapponesi, si sa, sono maestri delle analogie e delle perifrasi: si vede che anche da loro la parola “fallimento” è un tabù. Perché da noi lo è decisamente, e il mio amico, per farsi coraggio in un momento lavorativo e personale difficile, ha dovuto far ricorso all’insegnamento del suo maestro di karate di quando era ragazzino. Può far sorridere, ma solo se non siete mai passato attraverso qualcosa di simile.

Ancora oggi il fallimento è una parola tabù. Comprereste un libro che si intitola «Fallire!»? Vi presentereste a un convegno per raccontare la volta in cui non ce l’avete fatta? O prendereste la parola a una riunione per spiegare come mai avete dovuto portare i libri in tribunale? Non credo.

Il che, lasciatemelo dire, è un errore clamoroso oltre che un problema. Certo, viviamo in una società che esalta i vincenti, e vincere è una bella cosa. Ma accade raramente (anche se siete dei competitivi seriali) e quando accade non vi rende quasi mai felici. Come mai?

Non occorre scomodare l’ultimo guru delle neuroscienze o un filosofo stoico per sapere che l’apprendimento nella specie umana passa dall’errore. Quando va tutto bene e viene tutto facile, in realtà abbiamo un problema. Troppa fortuna e neanche sappiamo cos’è successo, figuriamoci se siamo in grado di strutturare una strategia che sia ripetibile con sicurezza nel tempo e che permetta di rafforzare la nostra posizione e migliorarla. Questa cosa ha un nome e si chiama “paradosso del vincitore”.

Attenzione, sto parlando di chi vince per fortuna, non di chi ci arriva dopo anni di tentativi e di preparazione. Per quelli la vittoria porta una soddisfazione temporanea e poi un senso di vuoto che può essere devastante. Si diventa competitivi seriali anche per questo motivo.

Invece, la mia tesi è che quella che in un tempo politicamente scorretto veniva chiamata “battere una musata”, era salutare. Battere una musata era una lezione che permetteva di ricostruire il nostro ego in un altro modo. Di cambiare. E anche di imparare una lezione fondamentale: vogliamo davvero rialzarci per batterne con tutta probabilità un’altra?

Fallire comporta l’idea di essere falliti. Il secondo tempo (in cui si vince) non è previsto, dobbiamo avere voglia di inventarcelo: per questo fallire può anche aiutare a cambiare strada.

Pensateci: se ripetete più volte lo stesso errore aspettandovi che cambi il risultato può essere un esercizio di caparbietà, certo, e in un caso su mille portare al successo. La maggioranza delle volte, però, segnala solo che non non siete particolarmente brillanti e che non ascoltate quello che il fallimento vi dice. Oggi abbiamo costruito un linguaggio ipocrita (o politicamente corretto, se preferite) che annacqua il senso delle parole sostanzialmente per togliere qualsiasi traccia di responsabilità.

Chi fallisce diventa uno che sta facendo un cambiamento di strategia. Chi non è all’altezza starebbe invece cercando la sua vocazione. Chi sbaglia in maniera plateale ha in realtà frainteso i termini del problema.

Ora, il punto secondo me è che il fallimento è uno straordinario strumento di comprensione della realtà. Un maestro duro che non fa sconti ma è sincero. Siamo sempre distratti dal rumore delle cose da fare e il fallimento ci costringe ad essere attenti e capire chi siamo e in quale mondo abitiamo. O almeno, ci prova, perché non sempre ascoltiamo.

Se andate a cercare libri e articoli sul fallimento vedrete che vi portano praticamente tutti nella direzione sbagliata: il fallimento come leva della resilienza. In realtà, il fallimento è un’altra cosa. Il fallimento è il vostro unico alleato leale, che vi mette di fronte a un fatto compiuto. Il tempo della vostra vita non solo è limitato, ma non siete neanche in grado di prevederne la durata.

Il fallimento vi insegna la differenza tra investire e sprecare il vostro tempo.

Siete sicuri che quello che state facendo vale il tempo della vostra vita? Siete felici? Fallire vi aiuta a capire se volete rialzarvi otto volte.