Le opinioni

Coperture e certezza del diritto, sfide della riforma fiscale

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di Antonio Tomassini – Professore di diritto tributario, Partner DLA Piper Studio Legale

La riforma fiscale è una delle maggiori sfide del governo e del Paese. La delega fiscale ha appena completato il suo primo importante test in commissione finanze alla Camera, dove ha raccolto circa 600 emendamenti (che saranno molto sfoltiti) e ora continuerà il suo iter parlamentare. Si tratta di uno sforzo storico perché l’ultima grande riforma è stata quella degli anni ’70, mezzo secolo fa.

Lo sforzo, tuttavia, è piuttosto impegnativo per una serie di fattori, primo tra tutti, senz’altro, quello legato alle coperture finanziarie.

Siamo un Paese che vive una terribile crisi demografica (record minimo di nascite nel 2022), unita a una impressionante emigrazione di giovani talenti (un milione nell’ultimo decennio) e a un progressivo invecchiamento della popolazione che, tradotti negli attuali indicatori macroeconomici, significa che gli spazi per tagli massicci delle tasse saranno sempre più ridotti, in assenza di shock all’economia. Detto questo, il tentativo di riforma è assolutamente da salutare con favore e da sostenere e, soprattutto, tra i vari principi e criteri direttivi della delega, ce ne sono molti la cui attuazione non costa nulla, anzi, si tratta di misure che in prospettiva possono stimolare l’adempimento e portare gettito.

Ci si riferisce principalmente alle norme sulla certezza del diritto destinate alle imprese. La stabilità delle regole e l’andare verso la predeterminazione dell’imponibile, agli occhi degli investitori, vale più delle basse aliquote.

Questo è proprio lo scatto culturale su cui focalizzarsi e passa dal distendersi dei rapporti tra Fisco e contribuente e dall’annunciato rafforzamento della cooperative compliance (il tutoraggio dell’Agenzia delle entrate per le imprese con più di un miliardo di fatturato, soglia da abbassare coinvolgendo i professionisti come “certificatori” del modello di gestione dei rischi fiscali). Del resto, questo è il trend internazionale. Si pensi alla nuova rendicontazione societaria di sostenibilità (Csrd) a livello comunitario, che parla con la funzione sociale dei tributi e impone una reportistica sempre più dettagliata, e al Pillar II Ocse che punta a introdurre una global minimum tax al 15% che sembra il preludio a una nuova, globale, forma di rendicontazione.

Lo stesso Viceministro Maurizio Leo, anima della delega fiscale, a margine dell’VIII DLA Piper tax day alla Camera, ha chiaramente affermato che un sistema di dialogo preventivo tra fisco e azienda teso al controllo dei rischi fiscali, basato su un modello standard per settore economico e con un potenziamento della rilevanza dei principi contabili, è uno dei pilastri della delega. Al medesimo ‘tax day’ è stata presentata una ricerca che dimostra come anche altri Paesi europei puntino sul dialogo preventivo come via anche per evitare sanzioni penali in caso di controllo (al momento l’assenza di una piena copertura penale è uno dei limiti della attuale cooperative compliance di casa nostra, che per il resto riscontra invece consensi anche all’estero).

Nella stessa direzione dovrebbe andare anche la valorizzazione dello Statuto del contribuente come norma di attuazione di valori costituzionali, la limitazione della rilevanza delle presunzioni, che in molti casi oggi sono di secondo o di terzo livello e impongono al contribuente delle probatio diaboliche, un potenziamento del contraddittorio preventivo che contribuisca a deprocessualizzare la materia tributaria, decongestionando la giustizia.

Infine, l’aspirazione verso la codificazione e correlata semplificazione normativa. L’ordine, anche formale, aiuta la certezza.