La Settimana Internazionale

Per Kiev la Crimea è l’oggetto del negoziato o l’obiettivo della vittoria?

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di Federico Bosco

Uno degli argomenti più spinosi della guerra in Ucraina è il destino della Crimea, la penisola del Mar Nero annessa alla Russia nel 2014 con un referendum mai riconosciuto dalla comunità internazionale. «La guerra è iniziata con la Crimea e si concluderà con la Crimea», ha detto ad agosto Volodymyr Zelensky, sottolineando che per Kiev la guerra sarà conclusa solo con il ripristino della piena integrità territoriale secondo i confini del 1991, senza rinunciare alla penisola che Mosca considera ormai come una parte integrante del suo territorio, una linea rossa che se oltrepassata potrebbe scatenare una reazione (anche) nucleare.

Dal punto di vista militare quel che dice Zelensky ha senso, in Crimea sono presenti diverse basi militari russe, e fin dalle prime fasi dell’invasione è da lì che arrivano gli attacchi più incisivi. Per la Russia la penisola è un bastione strategico, la piattaforma che ha permesso alle forze armate di conquistare gran parte delle regioni di Kherson e Zaporižžja, mentre dal porto di Sebastopoli la flotta russa nel Mar Nero lancia attacchi in profondità in tutta l’Ucraina e ha il potere di mettere sotto assedio il golfo di Odessa.

Ma dal punto di vista politico la Crimea è sotto il controllo di Mosca da otto anni senza che ci siano state grandi rivolte o tensioni particolari. Nella penisola vive una popolazione di circa 2,4 milioni di persone composta per il 65 per cento da russi, per il 15 per cento da ucraini (non è chiaro quanti siano andati via), e per il 10 per cento da tartari crimeani, i discendenti della popolazione originaria (filo-turca e musulmana) deportata in massa dal regime stalinista.

Nel lungo periodo la Crimea potrebbe diventare una fonte di attrito e divergenza tra l’Ucraina e i suoi alleati occidentali. Quando si immagina un negoziato di pace o un armistizio tra Kiev e Mosca si pensa fondamentalmente a una cessione di territori in cambio del riconoscimento russo dell’indipendenza ucraina, e sono in molti a ritenere ragionevole che in un accordo del genere la Crimea venga riconosciuta come russa visto che per l’Ucraina significherebbe “solo” riconoscere lo status quo di una penisola abitata per lo più da russi.

A Kiev però nessuno sembra pensarla in questo modo, la posizione ufficiale è che la Crimea va riconquistata esattamente come Melitopol, Berdiansk, Mariupol, Donetsk e Luhansk. Con l’aiuto dei carri armati e delle altre armi che arriveranno al fronte nelle prossime settimane gli ucraini cercheranno di liberare altro territorio nell’est e nel sud del Paese, aumentando le possibilità di pianificare anche un’operazione per riprendere la Crimea.

Anche con le nuove armi a Kiev mancheranno i mezzi necessari, la Casa Bianca non ha esaudito la richiesta di Zelensky di ricevere i missili a lungo raggio ATACMS, in grado di colpire bersagli fino a 150-300 chilometri di distanza. Ma le cose stanno cambiando, l’amministrazione Biden sta entrando nell’ordine delle idee che l’Ucraina deve essere in grado di minacciare la Crimea per rafforzare la sua posizione negoziale con la Russia, anche a rischio di scatenare un’escalation.

Fino a poco tempo gli Stati Uniti mantenevano l’ambiguità strategica sulla questione, il segretario di Stato americano Anthony Blinken ha sempre affermato che l’obiettivo di Washington è «dare a Kiev i mezzi per riprendersi il territorio che gli è stato sottratto dal 24 febbraio», lasciando intendere che il recupero del Donbas e della Crimea non fossero tra le priorità statunitensi.

Secondo il generale Ben Hodges, ex comandante delle truppe statunitensi in Europa, finché la Russia potrà usare la Crimea per lanciare attacchi aerei, navali e terrestri, l’Ucraina non sarà mai al sicuro. Anche immaginando in caso di cessate il fuoco o armistizio, l’incombente minaccia russa dalle basi della Crimea non permetterebbe all’Ucraina di usare liberamente i porti del golfo di Odessa e il territorio limitrofo per accogliere investimenti e sviluppare la propria economia.

«L’Ucraina non sarà al sicuro a meno che la Crimea non sia, come minimo, smilitarizzata», ha sottolineato anche Victoria Nuland, sottosegretario al Dipartimento di Stato. «Nella penisola ci sono installazioni di comando e controllo essenziali per la presa della Russia sul territorio ucraino, e in quanto tali obiettivi legittimi». Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale di Joe Biden, ha riaffermato che spetta solo all’Ucraina decidere cosa costituisca una vittoria, o un risultato diplomatico accettabile.

Al di là delle dichiarazioni di principio, la questione rimane aperta e la decisione non spetta solo agli ucraini. La Crimea in quanto avamposto militare è un obiettivo legittimo delle forze armate ucraine, su questo gli alleati di Kiev sono d’accordo. Ma se la controffensiva avrà successo riuscendo a spezzare in due blocchi le zone di occupazione russa, le forze armate ucraine saranno in grado di colpire il ponte di Kerch, interrompendo anche la seconda linea di rifornimento delle forze armate russe in Crimea.

A quel punto la penisola potrà essere presa di mira anche nell’ottica di una riconquista territoriale, e l’argomento non potrà più essere rimandato: Kiev e i suoi alleati dovranno decidere se la Crimea deve diventare l’oggetto del negoziato, o l’obiettivo della vittoria.