La Settimana Internazionale

La crisi tra Parigi e Berlino inceppa il motore europeo

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di Attilio Geroni

Il vertice franco-tedesco che si sarebbe dovuto tenere questa settimana non ci sarà. Se ne riparlerà addirittura in gennaio, quando si spera che le molteplici divergenze emerse tra Emmanuel Macron e Olaf Scholz saranno appianate. Il rinvio di un summit tra Berlino e Parigi è un evento eccezionale ed è grave che coincida con la più complessa crisi internazionale dai tempi della guerra fredda – innescata dall’invasione russa dell’Ucraina – che sta mettendo e metterà a dura prova la coesione dell’Unione europea.

In questa fase siamo lontani dallo slancio mostrato in occasione della pandemia, quando nella primavera del 2020 furono proprio Francia e Germania a promuovere una risposta corale attraverso la creazione del Recovery Fund, poi diventato NextGenerationEU, un maxi-piano economico, sociale e sanitario finanziato in parte dall’emissione di debito comune. L’unità di intenti mostrata allora dallo storico motore dell’integrazione europea sembra essersi sfaldata di fronte alle emergenze economiche, create e/o esacerbate dalla guerra, in particolare quella energetica, strettamente legata a sua volta all’impennata dell’inflazione.

Parigi non ha gradito la “fuga in avanti” del piano nazionale tedesco da 200 miliardi contro il caro energia e tantomeno la posizione contraria della Germania a un tetto al prezzo del gas. Berlino dal canto suo non ha apprezzato il rifiuto francese nei confronti del progetto, promosso dallo stesso Scholz e dalla Spagna, di un nuovo gasdotto tra i due Paesi (MidCat) che attraversasse i Pirenei. Anche sulla cooperazione militare ci sono discrepanze non da poco tra due alleati storici in questo settore (Airbus e Nexter) poiché la Germania sembrerebbe, assieme ad altri Paesi, più propensa all’acquisto di sistemi di difesa aerea americani.

Manca insomma quel coordinamento che in passato aveva permesso progressi fondamentali nell’integrazione europea, anche sul piano della visione strategica. L’idea di Macron di una Comunità politica europea, sancita con il successo del vertice di Praga, era stata preceduta da un discorso del cancelliere Scholz, tenuto proprio nella capitale ceca, che apriva la strada ad alcune modifiche dei Trattati e a un allargamento del voto a maggioranza qualificata per impedire paralisi e ricatti nel processo decisionale dell’Europa a 27.

Il discorso era interessante, ma non ha suscitato reazioni particolarmente calorose all’Eliseo. Per molti, Scholz continua ad essere una personalità politica sfuggente. Così come è sfuggente la politica estera tedesca, in piena crisi d’identità dopo che l’invasione russa dell’Ucraina ha messo a nudo la sua forte dipendenza energetica da Mosca che stava per raddoppiare con il gasdotto Nord Stream 2, poi bloccato su pressione americana nei giorni che hanno preceduto la guerra e infine sabotato con cariche esplosive. Nelle settimane scorse si era parlato molto di un viaggio in tandem da parte del presidente francese e del cancelliere tedesco in Cina, per un incontro ufficiale con il leader Xi Jinping.

Ora questo viaggio a due non si farà più, ma il cancelliere non vi ha rinunciato e a novembre sarà il primo leader europeo, con un nutrito gruppo di grandi imprese nazionali, in visita di Stato a Pechino dopo che il 20° Congresso del partito popolare cinese ha ulteriormente rafforzato la presa di Xi sull’intero Paese.

Scholz mantiene una tradizione consolidata della politica estera tedesca, che ha sempre accompagnato lo sviluppo delle proprie imprese nei grandi mercati. Helmut Kohl andò nel 1984 a Shanghai a inaugurare la prima joint venture in Cina di Volkswagen; Gerhard Schroeder battezzò il treno a levitazione magnetica; Angela Merkel c’è stata in visita ufficiale 13 volte.

Nonostante una revisione profonda delle politiche di apertura economica e tecnologica nei confronti della Cina, la Germania continua a non poter fare a meno dello sviluppo nel più grande mercato mondiale e mantiene per ora in vita le contraddizioni che hanno caratterizzato il rapporto con la Russia. Lo stesso Scholz, nonostante il parere negativo di ben sette ministeri competenti, sembra favorevole alla cessione di una quota di un terminal del porto di Amburgo all’operatore cinese Cosco.

Ed è anche contro questa pervicacia che deve confrontarsi, e viene spiazzato, un presidente francese che a causa della mancata maggioranza parlamentare, ha visto ridurre drasticamente le sue ambizioni per il Paese e per l’Europa.