La Settimana Internazionale

Berlino: dal 2024 riscaldamenti con fonti rinnovabili

Scritto il

di Attilio Geroni

Nello spazio di pochi giorni in Germania ci sono state due notizie molto rilevanti per il futuro energetico del Paese. Prima la chiusura delle ultime tre centrali nucleari ancora in funzione; poi l’accordo di Governo per la messa al bando, dal 2024, nei nuovi impianti di riscaldamento, delle fonti derivanti da combustibili fossili.

Quest’ultima decisione non è stata facile e all’interno della stessa “coalizione semaforo” si sprecano i distinguo: in particolare quelli dei liberaldemocratici (Fdp). Il leader del partito nonché ministro delle Finanze, Christian Lindner, si impegna ad approvare il progetto soltanto a fronte di cambiamenti e teme che il costo di questa transizione accelerata possa mettere in difficoltà i conti pubblici e il rispetto delle regole che dal 2009 mettono un freno all’indebitamento pubblico.

La svolta – perché di questo si tratta, pensando soprattutto alla direttiva Ue sulle case green recentemente approvata dall’Europarlamento e ora in fase di trilogo – è stata voluta soprattutto dal ministro dell’Economia, il verde Robert Habeck: «In questo modo – ha detto – riusciremo a centrare l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica nel 2045 e a recuperare il gap nei confronti di alcuni Paesi più avanti di noi sullo sviluppo delle rinnovabili». Il riferimento era soprattutto ai Paesi nordici.

Dall’anno prossimo, quindi, tutti i nuovi impianti di riscaldamento, sia quelli relativi a edifici appena realizzati sia quelli vecchi, dovranno montare impianti che funzionano al 65% grazie alle energie rinnovabili. Lo schema oggetto dell’accordo prevede sussidi pubblici diretti che possono arrivare a coprire fino al 50% della spesa sostenuta per il cambiamento dell’impianto.

Il bonus di partenza sarebbe del 30%, al quale si aggiungerebbe un premio ulteriore del 10% per chi compie il grande passo prima della scadenza. I percettori di sussidi di disoccupazione e sostegno ai redditi più bassi avranno invece un bonus del 50% mentre dagli 80 anni in su non vi sarà alcun obbligo di adeguamento.

Ciononostante, i tempi stretti preoccupano i tedeschi. Secondo un sondaggio condotto da Forsa, il 78% degli intervistati è contrario al provvedimento e il 62% prevede un aumento delle bollette per finanziare il passaggio alle rinnovabili. Il costo iniziale della transizione è stato stimato in 9 miliardi all’anno fino al 2028 e dovrebbe scendere a 5 miliardi dall’anno successivo.

A finanziarlo dovrebbe provvedere il Climate & Transition Fund, alimentato dalle accise sui combustibili fossili e con una dotazione prevista di 180 miliardi tra il 2023 e il 2028. Le buone condizioni dei conti pubblici tedeschi permettono uno spazio di manovra che altri Paesi, a cominciare dall’Italia, non potranno permettersi. È probabile che, oltre alle polemiche interne (anche l’opposizione CDU si è detta contraria), ci saranno polemiche anche a livello europeo: anche nella transizione green è difficile tra i vari Paesi godere di pari condizioni di partenza, una questione già emersa con la maggior flessibilità concessa di recente agli aiuti di Stato.

Il riscaldamento residenziale lo scorso anno è stato responsabile del 15% delle emissioni di gas a effetto serra in Germania, pari a 112 milioni di tonnellate.

La transizione accelerata si preannuncia, nonostante i sussidi, problematica e dolorosa. Analisti del settore citano ad esempio la mancanza di tecnici specializzati in energie rinnovabili (si calcolano circa 60mila figure professionali) e probabili strozzature nella catena delle forniture a causa di un sviluppo del settore lontano dai li- velli ottimali di sviluppo e produzione.

La famosa Energiewende, la svolta energetica annunciata ormai oltre 20 anni fa, si sta rivelando più lunga, costosa e faticosa del previsto. Per molto meno i francesi, quando Macron annunciò l’aumento dei prezzi dei carburanti per finanziare la transizione green, scesero in piazza dando vita al movimento dei gilet gialli.