Inchieste

L’IRPEF si fa in tre: chi guadagna

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di Veronica Schiavone

Tre aliquote Irpef entro 24 mesi e la flat tax per tutti entro la fine della legislatura: è questo l’impegno che il governo Meloni ha preso con gli italiani nella delega fiscale. Una riforma lunga, come tutte le deleghe, che l’esecutivo punta a far approvare dal Parlamento entro maggio, per poi iniziare il lavoro di scrittura dei decreti attuativi che dovrà concludersi entro due anni. Saranno i decreti legislativi a riempire di contenuti, numeri e percentuali i principi indicati dal disegno di legge delega che tuttavia ha il merito di iniziare a tracciare un percorso verso la riduzione del carico fiscale su cittadini e imprese, la razionalizzazione del sistema tributario, la semplificazione degli adempimenti.

Il punto di partenza, come in tutte le riforme tributarie, sarà l’IRPEF, la madre di tutte le imposte perché tassa il reddito prodotto dalle persone fisiche. Dopo la riforma Draghi, oggi le aliquote Irpef sono scese da 5 a 4 con nuovi scaglioni: fino a 15mila euro di reddito si paga il 23%, tra 15.001 euro e 28.000 euro il 25%, tra 28.001 e 50.000 il 35%, oltre i 50.001 euro di reddito il 43%. Ora il disegno di legge messo a punto dal viceministro all’Economia Maurizio Leo vuole scendere a 3 scaglioni con aliquote più basse, avendo come obiettivo di legislatura la flat tax generalizzata.

Un obiettivo ambizioso, e soprattutto costoso, da finanziare attraverso la riduzione delle cosiddette “tax expenditures”, ossia il mare magnum delle deduzioni, detrazioni e crediti di imposta (se ne contano più di 600) che ogni anno sottraggono all’erario un gettito pari a 165 miliardi.

Come procedere a questa riduzione? Nella delega il governo Meloni indica già la strada: l’ipotesi allo studio del Mef è quella della forfettizzazione per scaglioni di reddito, il che significa che saranno posti dei tetti di massimi variabili a seconda del reddito oltre i quali i contribuenti non potranno più beneficiare di sconti da parte del fisco. La delega non dà cifre (e non potrebbe farlo) ma sembra che l’idea del viceministro Leo sia quella di consentire detrazioni fino al 4% del reddito a chi si trova nel primo scaglione, al 3% per i contribuenti del secondo scaglione e al 2% per quelli del terzo; sopra i 100mila euro di reddito non si potrà più avere diritto a detrazioni. Le detrazioni per interventi di «miglioramento dell’efficienza energetica e di riduzione del rischio sismico del patrimonio edilizio esistente», si legge nella delega, saranno sempre consentite indipendentemente dal reddito. Dovrebbero, inoltre, essere sempre consentite le detrazioni per spese sanitarie, istruzione e interessi pagati sui mutui, così come le deduzioni dal reddito dei contributi versati a colf e badanti.

Scaglioni e aliquote, le ipotesi in campo

Ma quale sarà quindi il punto di caduta su scaglioni e aliquote che entro 24 mesi (ma si spera anche prima) manderà in pensione l’attuale sistema a 4 aliquote per applicarne solo 3? Le ipotesi in campo sono molteplici. Vediamole.

Quella che abbassa di più le tasse ma avvantaggia i redditi più alti…

La prima prevede di mantenere tale e quale il primo scaglione (fino a 15mila euro di reddito) con analoga aliquota (23%), mentre la vera novità sarebbe rappresentata dall’accorpamento del secondo e del terzo scaglione in un’unica fascia che sottoporrà al prelievo del 27% i redditi da 15.001 a 50.000 euro. Questa ipotesi risulterebbe un po’ più penalizzante per chi ha redditi da 15.001 a 28.000 euro, che si troverebbe a pagare un po’ di più passando dall’attuale 25% al 27%. Dall’altro lato, tale scenario risulterebbe essere estremamente più vantaggioso per chi oggi guadagna da 28.001 a 50.000 euro che passerebbe da un prelievo del 35% a un’aliquota del 27%. Un bel risparmio, insomma, che potrebbe anche aumentare qualora il governo – per non penalizzare i redditi più bassi (da 15mila a 28mila euro) – dovesse decidere di fissare l’aliquota al 25%. In questa ipotesi, i contribuenti che si collocano in questa fascia di reddito non avrebbero vantaggi ma almeno non verrebbero penalizzati, mentre chi guadagna da 28mila a 50mila avrebbe un risparmio di imposta di 10 punti percentuali. Sopra i 50mila euro resterebbe l’aliquota attuale del 43%.

.e laliquota che avvantaggia i redditi più bassi….

La seconda ipotesi di lavoro prevede l’accorpamento dei primi due attuali scaglioni in un unico scaglione fino a 28mila euro con tassazione al 23%. Le aliquote resterebbero al 35% fra 28mila e 50mila euro e al 43% sopra i 50mila euro. Questo scenario avvantaggerebbe maggiormente i percettori di reddito tra 15mila e 28mila euro, che oggi pagano il 25% di tasse e vedrebbero l’aliquota scendere di due punti percentuali. Se l’aliquota sul secondo scaglione dovesse restare al 35%, com’è oggi, i percettori di redditi da 28mila a 50mila euro avrebbero vantaggi minimi ossia limitati al fatto che sulla parte del proprio reddito da 15mila a 28mila euro (oggi assoggettata al 25% di tasse) si pagherebbe il 23%.

I vantaggi per i contribuenti del secondo scaglione aumenterebbero qualora il governo Meloni decidesse di abbassare anche la seconda aliquota portandola dall’attuale 35% al 33%. Questo scenario avrebbe il pregio di risultare maggiormente equo perché premierebbe con uno sconto fiscale del 2% sia i contribuenti della fascia 15.001-28.000 euro (che oggi pagano il 25% e pagherebbero il 23%) sia i contribuenti della fascia 28.001-50.000 (che oggi pagano il 35% e pagherebbero il 33%). Un taglio delle tasse più basso, dunque, ma di cui beneficerebbero in egual misura tutti i contribuenti fino a 50mila euro. Sopra tale soglia, come nel primo scenario, l’aliquota resterebbe identica a quella attuale (43%).

Chi ci perde e chi ci guadagna

Qual è la traduzione pratica di queste ipotesi? Facile intuirlo. La prima, oltre ad essere molto costosa per le casse dello Stato, potrebbe essere tacciata di iniquità perché risulterebbe addirittura penalizzante per i redditi bassi, mentre premierebbe con sconti fiscali del 10% i redditi intorno a 50mila euro. La seconda invece premierebbe meno ma un po’ tutti con sconti del 3-4% equamente ripartiti su tutti i redditi.

Cedolare secca anche per i negozi

Un’altra novità prevista dalla delega riguarda l’estensione della cedolare secca anche agli immobili non abitativi (per esempio i negozi o gli studi professionali). Oggi infatti possono beneficiare dell’imposta forfettaria del 21% (sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali) solo le persone fisiche che affittano un immobile adibito a uso abitativo al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arti e professioni.

Redditi di natura finanziaria

Per i redditi di natura finanziaria (oggi tassati con aliquota unica al 26%) si profila il raggruppamento dei redditi di capitale e dei redditi diversa di natura finanziaria in un’unica categoria reddituale soggetta a tassazione in base al principio di cassa e di compensazione, mandando quindi in soffitta la tassazione sul maturato. La delega prevede anche l’istituzione di un’aliquota agevolata sui rendimenti delle forme pensionistiche complementari e un’imposta sostitutiva agevolata sui redditi di natura finanziaria conseguiti dalle casse di previdenza. Sui titoli di Stato dovrebbe essere confermata l’aliquota agevolata del 12,5% applicata oggi.

Tassazione dei fringe benefit

Su questo aspetto la delega promette una «revisione e semplificazione delle disposizioni riguardanti le somme e i valori esclusi dalla formazione del reddito». Oggi i fringe benefit sono esentasse fino alla soglia di 258,23 euro. Al di sopra di tale soglia concorrono alla formazione del reddito.