Inchieste

Chef curiosi, ma la tradizione vince nel menu

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di Paola Guidi e Franca Rottola

Entusiasmo e curiosità hanno accolto i primi lanci delle bistecche sintetiche e di meduse, degli spiedini di lombrichi, cavallette e cicale e delle farine di insetti. Poi chef, panettieri, pastai e pizzaioli – di fronte alle reazioni negative dei clienti – hanno un po’ aggiustato il tiro. «Gli allevamenti intensivi hanno un impatto negativo sull’ambiente e sugli alimenti – spiega Claudio Sadler, milanese, tre stelle Michelin – E occorre trovare una soluzione al problema della carenza alimentare, anche con la carne sintetica che, comunque, è un cibo artefatto e come tale non privo di conseguenze. Quanto agli insetti, no: non sono molto disponibile, anche per un mio personale rifiuto».

Più curioso Filippo La Mantia, oste e cuoco: «Sono tradizionalista ma non ho nulla contro le nuove tendenze del food e se alla gente piacciono, perché no? Io preferisco lavorare con quanti, produttori, contadini, pescatori producono materie prime straordinarie che sanno di casa».

Tassativo Giuseppe Mancino (ristorante Il Piccolo Principe, due stelle Michelin all’interno del Grand Hotel Principe di Piemonte di Viareggio): «Mai utilizzato carne sintetica né insetti per i miei piatti e credo non succederà in futuro. La mia filosofia parte dalle specificità del territorio versiliese, una cucina di mare e dai sapori mediterranei. Nel mio nuovo menu l’attenzione si concentra sui vegetali, per riscoprire sapori antichi e genuini».

Andrea Vigna, Food director di Signature Kitchen Suite, sottolinea che il problema è «una questione culturale prima ancora che di gusto: come avrebbero reagito le nostre nonne, abituate a preparare la carne molto ben cotta, se avessimo proposto piatti a base di carne o pesce crudi? Non ho preconcetti per quanto riguarda i novel food. Che differenza c’è tra gamberi e insetti fritti?».

Nicola Di Nato, del “Feva” di Castelfranco Veneto, punta sulla tradizione: «La ristorazione deve salvaguarda la filiera dei piccoli produttori che forniscono prodotti in linea con la qualità della cucina italiana. Pertanto no, non entreranno nei miei piatti né grilli né carne sintetica. Ma siamo di fronte ad un bivio epocale, con la necessità di ridurre gli allevamenti intensivi. Pertanto sono favorevole all’inserimento nella GDO di nuovi prodotti “da scaffale” per implementare gli apporti nutritivi di cui la popolazione necessita».

Chi meglio dei panettieri e dei pizzaioli conosce le farine e può giudicare quelle nuove?

Gino Sorbillo, pizzaiolo con due locali a Napoli e a Milano, favorevole al ricorso a farine di origine non tradizionale come quella di canapa, ha voluto provare la farina di grilli per la classica pizza napoletana. «Risultato negativo, la farina ha un sentore simile a quello delle crocchette per i gatti, la pizza un odore strano, un sapore amaro come il cacao, ed è uscita scura».

Enrico Murdocco, panificatore torinese, ha provato proprio uno dei primi arrivi della farina di grilli. «Risultato soddisfacente sia per il gusto che per l’aspetto e invitante. Ma ho dovuto smettere per le reazioni negative e addirittura per gli insulti dei clienti».

Luciano Monosilio del ristorante Pipero, premiato con una stella Michelin, ha viaggiato molto, soprattutto in Asia, e con queste esperienze ha realizzato pasta di farina di grilli, i classici rigatoni, grazie alla collaborazione con il pastificio Felicetti.

Michael Lindberg, CEO di Lindberg International infine rivela: «I risultati di un nostro sondaggio condotto per la GEA, multinazionale tedesca del food-tech, mostrano che gli chef di tutto il mondo sono molto aperti alle proteine alternative: il 23% prevede che entro il 2040 più della metà del cibo sarà prodotto utilizzando fonti proteiche alternative».