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Valle: ecco come Home Italia è sbarcata in Cina

Scritto il

di Claudio Brachino

Luca Valle è il direttore di Home Italia, rivista che non è più soltanto una rivista ma è diventata la vetrina di un’impresa che realizza ovunque vere case Made in Italy.

Come è avvenuto il passaggio da magazine di design allarchitettura reale?

Il passaggio è arrivato cinque anni fa, quando ci siamo resi conto che vendere solo pubblicità per le aziende di arredamento made in Italy lasciava un po’ il tempo che trovava, così ci siamo trasformati in general contractor: oggi all’interno di Home Italia ci sono 75 studi di architettura da tutto il mondo e 30 aziende italiane d’arredo. Con questa squadra ci presentiamo sui mercati internazionali dove il nostro core business è il servizio chiavi in mano al cliente finale. Ad esempio, se un cliente compra casa a Miami possiamo realizzare tutto il progetto e tutto l’arredamento made in Italy; alla fine lo pubblichiamo sul magazine, quindi oggi la rivista è diventata un biglietto da visita.

Voi realizzate lintera struttura a livello ingegneristico, mentre lhardware viene fatto da altri.

Non siamo un’impresa di costruzione, quindi quando i clienti ce lo richiedono affidiamo il subappalto a terzi, possiamo però realizzare il progetto da zero.

Qual è la parte del mondo da cui vi arrivano più richieste?

Oggi il 68% del fatturato lo realizziamo in Cina, è quello il nostro mercato: i cinesi vogliono le case all’italiana. Poi vengono America ed Emirati Arabi. L’ultima richiesta che abbiamo avuto è stata a Shanghai, dove un grande costruttore ha realizzato tre alberghi e ci ha chiesto di fare tutto il progetto chiavi in mano. Abbiamo comprato gli arredamenti dalle nostre imprese e in questo caso abbiamo gestito anche il trasporto, quindi la dogana, lo sdoganamento e tutti i certificati di origine. Abbiamo completato queste tre strutture dopo tre mesi, perché ora c’è sempre qualche imprevisto legato alla distribuzione e ai prodotti dei materiali, con i tempi che si sono allungati a causa del Covid e dell’aumento delle materie prime.

Quali sono i nuovi paesi in cui vi aspettate di espandere il business?

Negli Emirati Arabi stiamo crescendo tanto, è un buonissimo mercato, anche se è partito già da anni e c’è molta concorrenza di tante aziende italiane. Tel Aviv in Israele secondo me è un mercato molto interessante che sta nascendo adesso, dobbiamo essere pronti a entrarci.

Quanti dipendenti ha Home Italia?

Abbiamo una struttura di 21 persone e diverse società esterne che collaborano con noi.

Possiamo quindi definirla una Pmi del made in Italy: la storia di un giovane che ha inventato qualcosa che non cera e sta creando posti di lavoro, una struttura che andrà avanti anni e che rappresenta un modo industriale di trasformare il made in Italy. Sono storie professionali, non filosofiche e intellettuali…

È più facile nascere con una famiglia alle spalle che ti consegna l’azienda, in quel caso devi solo portare avanti una continuità. Se guardiamo alle molte realtà e alle molte storie si scopre che i figli tante volte non sono all’altezza dei genitori ma questo è un tema molto delicato. Nel mio caso sono partito da zero: fino a 32 anni ho giocato a pallone, prima nel Cesenatico – città dove sono nato – poi ho fatto fino alla serie C1. Sicuramente se avessi giocato in serie A magari non avrei iniziato a lavorare, a fare l’imprenditore, avrei gestito i soldi in campi diversi.

Ma se giochi come me a livelli medio-alti, quando smetti devi reinventarti. Ho lavorato per un anno come commerciale in un giornale di moda e dopo mi sono messo in proprio perché avevo questa indole, il calcio e lo sport a livello professionistico ti portano comunque ad allenarti, a provare sempre a essere il numero uno. Bisogna avere tanta perseveranza, nei primi anni ho avuto dei momenti in cui avrei voluto mollare perché le difficoltà sono state tante. Oggi ho 42 anni, le cose stanno andando abbastanza bene perché cerco sempre di crescere. E se dovessero andare male avrei la consapevolezza che io e il mio team abbiamo comunque sempre dato il massimo.

Prospettive, sogni?

Crescere sempre di più senza fare il passo più lungo della gamba. Un mio sogno nel cassetto è quello di creare una serie di showroom Home Italia nel mondo. Anticipo che il 20 aprile all’Hotel Gallia di Milano, in occasione della kermesse del Salone del Mobile, faremo un evento per ufficializzare l’apertura del primo showroom Home Italia nella sede del Louvre Furnishing Art Center a Guangzhou, in Cina. È un grande traguardo rincorso da diversi anni perché trovare il cliente cinese che garantisse anche un piano di espansione nel tempo non è stato facile: ce l’abbiamo fatta e ora abbiamo la possibilità di presentare e soprattutto distribuire quelle aziende del made in Italy che oggi non sono ancora presenti in Cina.

Della Cina si parla sempre come di una potente protagonista della nuova geopolitica, conflittuale con lAmerica per quanto riguarda il primato della componentistica e dellelettronica, con un mondo distante e complicato. Com’è, in concreto, il rapporto con i cinesi quando ci si tratta personalmente?

La mia impressione è che sono persone con tanta voglia di fare. Sono grandissimi lavoratori e si stanno avvicinando moltissimo al made in Italy, alla nostra architettura, al nostro design, sono cresciuti tanto in questi anni, anche se al Salone del Mobile si vedono ancora i cinesi che fanno le foto ai nostri arredi per copiarli e riprodurli…

Qual è stata la chiave vincente della vostra comunicazione?

Il marketing è la cosa più importante, oggi molte società hanno al loro interno dei fondi d’investimento. Per diventare un brand devi essere conosciuto nel mondo e per fare questo, come azienda d’arredamento, devi avere gli showroom. Ci sono aziende che ne hanno 50, 100 in ogni angolo del pianeta e diventano brand. Ma sono casi in cui esiste sempre una potenza economica di sostegno. Noi di Home Italia siamo auto liquidati, non abbiamo fondi d’investimento e abbiamo fatto tutto con le nostre forze. La chiave, nel nostro piccolo, è stata la correttezza, la perseveranza e il passaparola. Poi abbiamo ovviamente investito tanto su sito e social.