Finanza e Risparmio

Tassi, l’asticella avanza ma la BCE non si ferma

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di Mariarosaria Marchesano

Prossima fermata al 4%. È la previsione del tasso “terminale” della BCE che fa Algebris, società di gestione del risparmio che opera a livello globale. Non è l’unica: la convinzione che l’asticella si stia spostando in avanti sul punto di caduta della stretta monetaria da parte della Banca centrale europea, presieduta da Christine Lagarde, è molto diffusa tra investitori e banche d’affari a pochi giorni dalla prossima riunione del board, prevista per il 16 marzo.

L’aumento del costo del denaro di altri 50 punti base appare scontato, la domanda è piuttosto: quanti altri ritocchi della stessa entità ci saranno?

Il board della BCE si questo è spaccato tra le “colombe,” che si sono schierate per evitare ulteriori rincari oltre a quelli già previsti, e i “falchi” come l’austriaco Robert Holtzman, il quale auspica addirittura altri quattro rialzi da qui all’estate. Siccome si ha la sensazione che il fronte della linea dura si stia compattando, sui mercati si scommette su un tasso finale al 4%, almeno.

A parte qualche eccezione, come quella del premio Nobel Nouriel Roubini, secondo il quale – come ha riportato Wall Street Italia – le banche centrali dovranno fare presto dietrofront sui tassi, se vogliono evitare la trappola del debito e provocare una catena di insolvenze, le attese sulle future mosse della BCE sono che questa non si fermerà fino a quando il tasso d’inflazione dell’Eurozona non sarà riportato in un range di controllo che oscilla tra il 2 e il 3 per cento dall’attuale 8,5 per cento (dato di febbraio). Va detto che proprio sui dati d’inflazione ci potrebbe essere qualche correzione, a causa di un errore di calcolo dell’Olanda nel comunicare un livello più elevato di quello reale.

Ma questo non dovrebbe incidere più di tanto sulle future mosse dell’Eurotower. E il bello è che sui mercati, in una prima fase molto preoccupati per gli effetti sull’economia di una politica monetaria troppo restrittiva, sta crescendo la consapevolezza della necessità di buttarsi alle spalle l’era dei tassi a zero o addirittura negativi e di affrontare la realtà per quella che è.

«Meglio una recessione oggi che un’inflazione incontrollabile domani», sintetizza Maurizio Novelli, gestore di Lemanik Global Strategy Fund. In una sorprendente analisi, Novelli spiega che la narrazione secondo cui l’inflazione tornerà presto al 2% e che le banche centrali torneranno a ridurre i tassi è sostenuta prevalentemente da chi ha iniziato a lavorare nel sistema finanziario dopo la crisi del 2008: «Tutti coloro che sono nati professionalmente con il Quantitative easing, 10-15 anni fa, pensano che la normalità del sistema sia quella di continuare a vivere con tassi a zero e l’assistenza della banca centrale. In realtà, tale fenomeno è stata un’anomalia storica dettata da eventi straordinari: chi è sui mercati da oltre trent’anni sa benissimo che abbiamo vissuto in un contesto atipico».

Quindi, cosa può succedere d’ora in poi? Per capire, bisogna allargare lo sguardo oltre l’Europa. Secondo Alberto Tocchio, di Kairos, gli ultimi commenti degli esponenti della Fed guidata da Jerome Powell e dei banchieri della Bce sono andati in una direzione più rigida riguardo all’inflazione, con un mercato che ora sconta un tasso terminale di rialzo poco sopra il 5,5% in Usa e superiore al 4% in Europa: un mese fa i livelli erano di circa l’1% più bassi. «La storia ci insegna – osserva Tocchio – che quando i tassi salgono così tanto insieme con i piani di tightening (politica monetaria restrittiva, ndr) lo stress finanziario aumenta considerevolmente e l’azionario sottoperforma. In aggiunta possiamo anche menzionare i crescenti rischi geopolitici, la rapida crescita del debito e tutti quei fattori che nel medio termine farebbero propendere per una frenata sull’azionario, e può volerci del tempo perché si realizzi questa situazione, dopo 15 anni di tassi negativi».

Insomma, bisogna prepararsi a un cambio di scenario che potrebbe essere anche radicale. Ma se gli effetti della stretta monetaria si stanno già vedendo in un tasso d’inflazione tendenziale in discesa, perché tanto pessimismo? Un’altra casa d’investimento, Columbia Threadneedle Investment, prevede una discesa dell’inflazione al 3% nel Regno Unito e in Europa entro l’anno. Il che non vorrà dire necessariamente tassi d’interesse più bassi: «Mentre l’impatto dell’impennata dei prezzi dell’energia si attenua, un’inflazione salariale più forte costringe la Banca d’Inghilterra e la Banca centrale europea a mantenere una politica monetaria rigida», osserva Steven Bell, capo economista Europa di Columbia. Il timore, dunque, è che una crescita dei salari potrebbe rendere l’inflazione persistente costringendo la Bce ad aumentare i tassi più di quanto si pensi. Che l’Eurotower si stia preparando a questa eventualità si è capito anche dall’insolita raccomandazione di Lagarde alle banche di andare incontro ai clienti sui rincari dei mutui favorendo rinegoziazioni e surroghe. I fatti diranno se gli istituti di credito l’hanno ascoltata.