Finanza e Risparmio

Italiani ignoranti in finanza: risparmiano, ma non sanno investire

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di Mariarosaria Marchesano

Per risparmiare, gli italiani risparmiano. Lo dimostrano anche gli ultimi dati dell’ISTAT: nonostante i venti di guerra e le aspettative di peggioramento dell’economia, nel secondo trimestre di quest’anno la propensione al risparmio delle famiglie si è ridotta di quasi due punti percentuali rispetto al 2021 e di cinque rispetto al 2020, ma non è scesa al di sotto del periodo pre-pandemia, quando non esistevano le attuali tensioni geopolitiche. Quello che, invece, gli italiani continuano a fare poco è investire i soldi che mettono da parte.

«L’approccio è di tipo precauzionale – spiega al “Settimanale” Giovanna Paladino, direttrice del museo del Risparmio – cioè si preserva una parte del reddito prodotto per affrontare più tranquillamente il periodo di incertezza o per mantenere invariato lo stile di vita, come si vede dal fatto che i consumi non sono diminuiti nonostante la corsa dell’inflazione». Secondo Paladino, il rapporto che gli italiani stanno dimostrando di avere con il risparmio assomiglia molto a quello in voga negli anni Settanta, con il rischio di un impoverimento del potere d’acquisto.

Spesso si guarda al valore nominale del denaro e non a quello reale, che in periodi come quello che stiamo attraversando viene eroso dalla corsa dei prezzi. Il risultato è l’illusione monetaria, cioè si pensa di avere più soldi in tasca di quanti in realtà siano.

Cultura finanziaria al palo

Quello che manca è il passaggio dal risparmio all’investimento. Le ragioni di questo fenomeno – che in Italia è rappresentato da 1.700 miliardi fermi sui conti correnti – sono molteplici e hanno a che fare per lo più con la carenza di cultura finanziaria, che il salto nell’era fintech sta paradossalmente rischiando di accentuare.

Giovanna Paladino insieme con due ricercatori della Banca d’Italia, Daniela Marconi e Marco Marinucci, hanno cercato di indagare in un recente studio la relazione che esiste tra competenze digitali, conoscenza finanziaria e decisioni di investimento. E il risultato dovrebbe far riflettere.

E’ la conoscenza finanziaria che aiuta le persone a passare dalle decisioni di risparmio a quelle di investimento.

Competenze digitali, più un freno che una leva

«Investire, infatti, richiede un livello elevato di consapevolezza del denaro, che è strettamente legato alla fiducia in se stessi, su ciò che si sa del funzionamento dell’economia e del sistema finanziario. Invece, le competenze digitali influiscono molto nei comportamenti di risparmio, per esempio è sempre più diffuso l’utilizzo di app per accumulare quotidianamente anche piccole somme, ma non hanno alcuna rilevanza sulle decisioni di investimento».

Le evidenze dello studio

Insomma, anche per i nativi digitali, come millennials e generazione Zeta, la capacità di gestire il denaro è legata al livello personale di istruzione e di conoscenza dei temi legati agli investimenti e poco o nulla conta se le stesse persone sono in grado o meno di utilizzare uno smartphone per questo scopo.

Il che non è irrilevante in una fase in cui il mondo bancario e degli intermediari finanziari sta investendo ingenti risorse per la trasformazione fintech.

I programmi di educazione finanziaria sono fondamentali per far sì che gli italiani si avvantaggino di una gestione del denaro che includa gli investimenti, cosa particolarmente importante in un periodo di incertezza e di alta inflazione.

La conclusione dello studio di Paladino-Marconi-Marinucci è che per trasformare i risparmiatori in investitori, la transizione digitale deve essere accompagnata da interventi educativi mirati per elevare il livello generale di alfabetizzazione finanziaria che in Italia non accenna a migliorare, come si vede dal fatto che l’ultima classifica Ocse ha mostrato solo un lieve miglioramento rispetto al 2017.

Ancora nel 2020, infatti, meno del 44% della popolazione adulta italiana ha raggiunto il punteggio minimo per una persona finanziariamente informata, contro la media Ocse del 57%. E dato ancora più preoccupante è che le peggiori performance sono registrate tra i giovani di età compresa tra 18 e 35 anni, soprattutto tra le giovani donne.