L'editoriale

Finché l’Italia va

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di Claudio Brachino

La sapevate l’ultima? L’Italia va bene. Le buone notizie non piacciono, specie al mainstream politico-mediatico ossessionato dalla Meloni, ma c’è chi ne fa una questione antropologica prima che ideologica. Tradotto, l’essere umano è attratto nel profondo se non sempre dal Male, almeno dal malizioso, dal velenoso, dal torbido.

L’altra sera a cena un avvocato di livello mi chiedeva perché nello Stivale si parla così poco di esteri e troppo di cronaca nera, la risposta è servita. Comunque, la buona notizia è che il Pil del nostro Paese cresce nel primo trimestre più del previsto, 0,5%. Andiamo meglio della Francia 0,2, della Germania, praticamente ferma, secondi solo al Portogallo, 1,6. I numeri si conoscono da giorni ma ognuno tira la giacchetta interpretativa dalla sua parte, soprattutto in relazione al futuro.

A noi che, come abbiamo ribadito in occasione del restyling del Settimanale raccontiamo in primis la filiera delle Pmi, interessa soprattutto mettere in risalto il lavoro eccezionale delle nostre imprese e dei nostri imprenditori. Hanno resistito al Covid e ora alla tempesta della guerra in Ucraina, all’inflazione e a un aumento dei tassi di interesse rapido e violento. Se non siamo andati in recessione lo dobbiamo a loro, se gli speculatori allentano la presa sul nostro debito e sulla scommessa del crac Italia, lo dobbiamo a loro.

Se lo spread rimane contenuto, lo dobbiamo a loro, ovvero a leader e aziende che hanno investito in innovazione tecnologica e in sostenibilità stando al passo con i tempi. Cambia il mercato globale, cambiano i linguaggi e le competenze, si spingono in avanti le frontiere materiali e soprattutto immateriali di quell’antica e universale pratica umana che si chiama commercio. È il mondo dell’eccellenza e della resilienza, così avevo già chiamato il deep state del nostro capitalismo familiare e territoriale, senza nulla togliere al lavoro complementare e altrettanto essenziale delle “grandi” aziende.

Smettiamola di fare come Tafazzi, ha commentato il presidente del Consiglio appena ricevuta la notizia. Tafazzi, per chi non lo ricorda, è quel personaggio strepitoso di Aldo, Giovanni e Giacomo, interpretato per l’esattezza da Giacomo Poretti, che con una bottiglia si colpisce con forza gli attributi. Il termine nobile è masochismo, poi ci sono le versioni popolari alla Trilussa. Anche se lo sguardo ottimista, che rimane una visuale, un’inclinazione, un atteggiamento ontologico globale, non è sufficiente da solo.

Poi ci vogliono il lavoro, le idee, le politiche economiche adeguate. L’attenzione a chi produce ricchezza ora è più alta che in passato, ma Tafazzi è sempre in agguato e comunque è il benvenuto nella maggior parte delle redazioni d’Italia.