Economia della Conoscenza

Quando la cultura diventa economia e i giovani il presente

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di Beppe Ceccato

Nella mappa dei 7901 comuni italiani ce n’è uno in Campania adagiato sulle pendici del monte Acellica, nel Parco regionale dei Monti Picentini. Si chiama Giffoni e non è un paese qualsiasi: 53 anni fa, come i pregiati noccioleti di cui la zona è famosa, è nato, cresciuto e ha prodotto i suoi frutti il Giffoni Film Festival, dedicato al cinema per ragazzi. Detto così è piuttosto riduttivo, visto che il festival con gli anni è diventato un articolato e complesso modo di far cultura, con il cuore sempre nel cinema, che ha oltrepassato i confini nazionali per diffondersi in 53 Paesi nel mondo.

Claudio Gubitosi
Claudio Gubitosi

L’artefice di tutto questo fare è un ragazzino di 17 anni pieno di idee, creatività e forza di volontà. Ora quel giovanotto ha 71 anni, ha acquisito l’esperienza della vita ma è rimasto con la stessa voglia di cambiare il mondo. Intervistare Claudio Gubitosi è sempre una gran bella occasione. Economia della conoscenza per lui calza a pennello. Anche se non è facile: è un fiume in piena, una cascata di idee, veloce nei collegamenti, una memoria d’acciaio una fonte inesauribile di aneddoti. Ci siamo sentiti al telefono domenica pomeriggio:

Facciamo così, immaginiamo di essere seduti al tavolo di un ristorante. Abbiamo pranzato e ora ci finiamo con calma la bottiglia di vino: dobbiamo umanizzare questo colloquio.

Mi propone. Giusto.

Gubitosi e il sistema Giffoni”: siete un caso di studio. Com’è nato tutto ciò?

Me lo hanno chiesto in tanti, sono stato oggetto di tesi di laurea (300!), anche la George Washington University ha cercato di capire l’origine di questo brand italiano ma si sono dovuti arrendere. Non lo so nemmeno io, me lo domando ancora, dopo 53 anni. Quindi ho deciso di non chiedermelo più! Vengo da una famiglia di sei figli che nulla aveva a vedere con cultura o giornalismo. A 17 anni ero un ragazzo appassionato di foto, volevo fissare immagini, poi mi ha catturato il movimento. Grazie a un Super8 con una pellicola di 15 metri che dovevo mandare a sviluppare a Milano, mi sono appassionato al cinema, l’unico modo per conoscere ciò che c’era oltre le montagne che circondano Giffoni. Così mi sono inventato un festival e la cosa più inesplicabile era che, nei primi anni, sono venuti a Giffoni Carmelo Bene, Pasolini, Fellini.

Come lhanno vissuta in paese?

All’inizio mi prendevano per pazzo, poi hanno capito. Credo di aver positivamente violentato il mio paese: il proprietario del cinema mi dava gratuitamente la sala ma non l’operatore, così ho imparato a farlo io; chi arrivava al festival veniva ospitato dalle famiglie, consuetudine che regge ancora. Per finanziare il festival ho imparato a suonare l’organo nelle chiese dei paesi. Feci anche un concorso al mio comune come dattilografo, lo vinsi, ma poi lasciai.

Quale era il tuo sogno?

Fare qualcosa di utile, di necessario. Nel 1982 è arrivato François Truffaut, a Giffoni, ci pensi? Intravide un certo disagio di forma, ma non di sostanza.

Perché hai scelto il cinema per ragazzi?

È una lettura che ho fatto di me stesso. Volevo dare l’opportunità di fare cultura e divertire, volevo che i giovani trovassero quello che io non ho trovato.

Il festival di Giffoni è importante tanto quanto Cannes, Venezia o Berlino…

Sì, ma quello che si fa lì non si fa a Giffoni. Il concetto è diverso: creare un movimento continuo che non si esaurisca solo nei pochi giorni di proiezioni. In sintesi, missione e visione, bisogna capire perché si fa e per chi si fa. Perciò l’esperienza di Giffoni è una case history ancora oggi, dopo 50 anni. Una struttura come questa per continuare a vivere deve rinnovarsi. Qui non esistono riti, perché nulla è eterno, soprattutto in anni dove la tecnologia corre veloce. Devo essere consapevole e pronto a distruggere quello che ho costruito per costruire di nuovo.

Il Festival è solo una parte di quello che fate. Lo testimoniano i tre fitti libri che hai pubblicato sulla tua avventura…

Nel 2000 è nata La città del Cinema, nel 2018 la cittadella della multimedialità. Siamo un work in progress continuo. Il sistema Giffoni dà lavoro stabilmente a 140 persone con un’età media di 33 anni: se l’idea è valida la puoi portare ovunque. Siamo un progetto Made in Campania di cui l’Italia va fiera e, dunque, un progetto Made in Italy che abbiamo esportato nel mondo e che continuiamo a portare ovunque ce lo chiedano. Siamo un’azienda culturale. Il disegno della Multimedia Valley che trovi in quei libri, abbozzato su un foglio un giorno a pranzo, vale 30 milioni di euro! L’importante è essere credibili e trovare gli investitori giusti. Lo scorso anno l’OTS di Giffoni è stato pari a 1 miliardo e 200 milioni di interazioni.

Un beneficio per il territorio.

Ho fatto un calcolo: per ogni milione di euro che la Regione Campania investe su di noi, Giffoni ne restituisce 2,8. Nei giorni di festival la zona ha una ricaduta pari a 13,5 milioni di euro. E poi i ragazzi a Giffoni stanno bene: per questo sono stato dal ministro della salute Schillaci a chiedere fondi. Non è uno scherzo!

Il tema del festival di questanno è Indispensabili, giusto?

Sì, nel 2022 era Invisibili: i ragazzi non sono considerati. Non sopporto le frasi di rito come “Siete il nostro futuro”, perché, tradotto, significa che i giovani sono cancellati dal presente. Quello che voglio sono giovani rivoluzionari, che crescono cioè con la consapevolezza di poter cambiare in meglio la società. Il tema 2023 è, dunque, Indispensabili. L’immagine viene da un’idea di Erri De Luca, mio caro amico, che ha pensato a una mano con le cinque dita che corrispondono ai cinque sensi, tradotta bene in logo da Luca Apolito.

Il vostro andare oltre” dove sta portando Giffoni?

A due nuove progettualità: un impegno molto forte sul concetto di sostenibilità a 360 gradi non solo ambientale, piuttosto, sociale, che abbiamo chiamato Verde Giffoni e un altro sui nuovi linguaggi, non quelli del futuro ma come evolveranno gli esistenti tra vent’anni, che abbiamo battezzato Shock Giffoni.