Economia della Conoscenza

L’azienda come una comunità, il “segreto” che fa grande l’Italia

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di Alessandro Paciello

Prof. Alessandro Zattoni
Prof. Alessandro Zattoni

C’è un’Italia che funziona e che spesso non sa raccontarsi a sufficienza per poter così rivendicare il suo “posto al sole” nella storia del Paese. È l’Italia dei territori, dei borghi, degli imprenditori locali, delle famiglie che hanno intrapreso nel corso del tempo virtuosi percorsi produttivi ed economici. A questa Italia, l’ISVI – Istituto per i Valori d’Impresa – ha dedicato una meticolosa ricerca edita in un libro della Treccani: Il Segreto Italiano. Al Settimanale la illustra il Prof. Alessandro Zattoni, ordinario di Corporate strategy e Corporate governance, Direttore del Dipartimento di Impresa e management dell’Università Luiss Guido Carli di Roma e membro del Comitato Scientifico ISVI e del Gruppo di Ricerca che ha condotto lo studio.

Professore, la ricerca che avete condotto è densa di spunti e informazioni che illustrano il Segreto Italiano”. Da dove nasce?

ISVI promuove un capitalismo che metta al centro la persona, oltre che l’ambiente, che si rifaccia all’esempio di Adriano Olivetti, per intenderci. Questo progetto è stato finanziato da Geico e ideato dal suo Presidente, il Cavaliere del Lavoro A. Reza Arabnia che, pur se di origini persiane, si sente ed è “imprenditore italiano” a tutti gli effetti. Lui si chiede come mai noi italiani siamo sempre così negativi rispetto alla realtà che ci circonda, manifestando un’infelicità di fondo, mentre avremmo un maggior numero di motivi per essere felici di vivere qui. L’Italia è pur sempre la seconda nazione a livello europeo per la manifattura e rappresenta una delle più importanti economie a livello mondiale. Qual è quindi il nostro segreto per riuscire a mantenere nel corso dei decenni questa posizione? A questa domanda ha cercato di rispondere il nostro studio.

Come è stato condotto lo studio?

Si è concentrato sulle medie imprese, quelle che nel passato sono state definite le “imprese del quarto capitalismo”. Perciò sulla fascia delle aziende di medie dimensioni e non su quella delle grandi o delle micro, perché la forte sensazione era che lì si nascondesse la risposta all’arcano. Dieci ricercatori di diverse discipline scientifiche hanno quindi indagato lo scenario nazionale per avere a disposizione una visione trasversale e multidisciplinare, diversa e olistica della realtà. La ricerca puntava a capire come mai a fronte di tanti “minus” di cui soffriamo come Paese, che di certo non incoraggiano le attività imprenditoriali di territorio, riusciamo comunque, secondo il “paradosso del calabrone”, a volare cosi alto dal punto di vista manifatturiero.

Quindi, come facciamo a volare”?

Il Professor Vittorio Coda – che è Presidente del Comitato Scientifico dell’ISVI – sottolinea che la risposta sta in tre fattori: leadership, rapporti con il territorio e radici, prossime o remote. Alcuni capitoli della ricerca indagano approfonditamente la visione dell’imprenditore in termini valoriali, di obiettivi e di relazione con l’impresa. Gli imprenditori italiani che abbiamo intervistato vedono l’impresa come una comunità. Cioè il loro vero obiettivo primario non è il profitto, ma la continuazione dell’attività dell’impresa nel territorio e nel corso del tempo. Quindi, sono imprenditori con una visione di lungo termine che abbraccia in termini valoriali tutti gli stakeholder del territorio in cui si muove l’attività, a partire dai collaboratori. Questi ultimi, infatti, si sentono fortemente ingaggiati dal progetto e sviluppano comportamenti che vanno oltre la loro attività pianificata, poiché l’impresa diventa per loro una sorta di “famiglia allargata”. Queste persone, così come la comunità circostante, finiscono per sentire l’impresa come qualcosa di “proprio”, tanto da far diventare la loro attività lavorativa una parte importante della propria vita e da generare una forza motivazionale che determina il successo dell’impresa e del territorio stesso.

Un altro fattore di successo che abbiamo riscontrato risiede nella grande empatia che i nostri imprenditori e i loro collaboratori sanno creare con i colleghi stranieri. Proprio durante un focus group questi ultimi hanno dichiarato che la disponibilità, spesso creativa e interattiva, a “entrare” nella necessità del cliente non viene altrettanto offerta all’estero.

Questi imprenditori sono consapevoli del loro comportamento o questo è dovuto a una sorta di radice antropologica?

Domanda interessante alla quale ho cercato di rispondere nel capitolo che ho curato. Alcuni di loro hanno letto gli scritti o studiato l’esperienza di Adriano Olivetti, innamorandosi del suo pensiero e cercando quindi di replicarlo. Ma Olivetti non è l’unico ispiratore di questi comportamenti. La matrice cattolica, per esempio, è un altro fattore di ispirazione a cui si rifà molta imprenditoria italiana di territorio. Poi, c’è la matrice socialista, altrettanto legata al concetto di collettività. È il tipico imprenditore che pensa in termini di “famiglia povera e impresa ricca”, subordinando perciò la propria ricchezza alle esigenze dell’impresa e della comunità. Interessante anche risalire all’umanesimo e al Rinascimento, perché molti di questi temi e valori nascono già allora. Basti pensare ai distretti che sono portavoce all’estero del Made in Italy che si rifanno, soprattutto in alcuni settori come la moda e il design, al Rinascimento, proprio per richiamare il concetto di un’Italia bella e capace che ha caratterizzato un’epoca.

Da questi territori nascono le famiglie che storicamente hanno dominato il mondo…

Esattamente. È a cavallo tra il Medioevo e il Rinascimento che si fanno strada anche fuori dall’Italia, basti pensare al periodo fiorentino o a quello genovese dei grandi banchieri e mercanti, da cui nasce il capitalismo moderno. È la storia delle “Città Stato” che nascono anche per l’assenza di uno Stato centrale forte. Qui si trovano le origini del Made in Italy che ancora oggi è un nostro vanto nazionale.

Da comunicatore, però, osservo una mancanza nel racconto puntuale di questo Made in Italy dei territori. Non crede?

Nel nostro immaginario la manifattura nazionale viene concepita solo in termini di design, moda ed enogastronomia, proprio perché questi settori hanno saputo meglio raccontarsi anche risalendo a epoche rinascimentali. Ma noi primeggiamo pure nella microelettronica, nella meccanica e nell’economia circolare. Abbiamo numeri di assoluto primato, che nella ricerca raccontiamo nel dettaglio, come per esempio quello del distretto di Sassuolo, dove viene prodotto il 20% delle ceramiche mondiali e l’80% di quelle nazionali. Questi distretti sono un esempio di imprenditorialità diffusa su cui si innesta una qualità degli imprenditori, dei lavoratori e del contesto generale che li circonda.