Economia della Conoscenza

Ipnotizzati dall’Occhio Animale

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di Beppe Ceccato

Il gorilla ti scruta, attento. Nei suoi occhi ci puoi leggere tanto, millenni di evoluzione, interrogativi irrisolti, sospetto, ma anche un pizzico di attrazione per l’essere umano che lo sta osservando oltre la tela, suo lontano “parente”. Sembra indeciso, se fidarsi o meno… Non solo gorilla, ma anche ippopotami, cavalli, cani, puma, orsi e tanti altri “personaggi” del mondo animale sono protagonisti di una affascinante mostra inaugurata il 12 aprile a Milano alla Maurizio Nobile Fine Art (sito privato Bagatti Valsecchi, via Santo Spirito 7, fino al 29 aprile) dal titolo Occhio Animale.

L’autore è Saverio Polloni, artista cha da vent’anni si dedica a ritrarre animali, con un’attenzione certosina per gli occhi. Specchio dell’anima, come vengono tradizionalmente descritti, filtri che lasciano fluire emozioni, metafora della vita, riflessi in cui inevitabilmente ci si specchia. «Mi rifaccio all’impostazione classica del ritratto, solo che invece di persone metto in posa gli animali, ritratti a grandezza naturale, rispettando le proporzioni», spiega l’artista a Il Settimanale.

Lavorare sugli animali è piuttosto complesso. Com’è nata questa sua passione? I suoi dipinti sembrano figli di quella ritrattistica barocca, tipica dellarte fiamminga e anglosassone.

Ho sempre avuto un’attrazione per il soggetto animale, anche se ho cominciato a ritrarli a 40 anni. Prima mi occupavo di illustrazioni pubblicitarie, lavoravo nel campo della moda e del disegno industriale, avevo un mio studio, erano gli anni Ottanta. Però gli animali mi hanno sempre affascinato e incuriosito, così ho pensato di metterli in posa come facevano i grandi ritrattisti classici. Dipingerli a grandezza naturale ha un effetto molto impattante in chi li osserva».

Infatti, imbattersi in un suo gorilla o in un mastodontico ippopotamo è comunque unesperienza da provare…

Lavoro molto sulla loro postura, gli animali trasmettono naturalmente empatia. A differenza di personaggi famosi dove puoi avere un sentimento positivo verso quel dipinto ma anche una reazione opposta, con i miei soggetti questo non accade.

Il punto di attrazione fondamentale di un suo dipinto è lo sguardo animale”.

Per questa ragione la galleria Maurizio Nobile ha scelto di focalizzare la scelta dei miei lavori, concentrandosi proprio sugli occhi. In esposizione ci sono una ventina di tele, tra cui una molto piccola, 15×15 centimetri, che raffigura un singolo occhio di tigre.

La sua, però, non rientra nella categoria della pittura scientifico-naturalistica…

No, non lo è. È un ritratto vero e proprio e, come tale, un’interpretazione di quella determinata specie animale, filtrata dal mio modo di percepirla. Non si tratta nemmeno di “pittura fotografica”. Tutti gli occhi dei miei animali hanno un qualcosa di umano. Il bulbo oculare è difficilissimo da disegnare perché se si prolungano le palpebre di un millimetro da una parte o dall’altra il dipinto si riduce a un’umanizzazione tipica di un fumetto o di una caricatura.

Insomma, locchio vuole la sua parte!

Sono l’ultima cosa che dipingo. Spesso lascio i quadri incompiuti per mesi, poi li riprendo, li studio, li rimetto da parte se non sono convinto. Alcuni li ho fermi da quattro, cinque anni. Di una tela raffigurante un orso polare dell’altezza di 2 metri e 20 centimetri ho impiegato più tempo a rappresentare gli occhi che tutto il resto!

Quale tecnica pittorica usa?

È il frutto di un intero anno di studio e sperimentazione. È una sovrapposizione di colore acrilico, ideale per dipingere i peli perché mi garantisce un tratto nitido, senza sbavature, a cui sovrappongo velature a olio per dare profondità.

Perché è così affascinato dal ritratto come soggetto pittorico?

Sono nato nel 1957, ho frequentato l’Accademia di Brera negli anni Settanta. In quel periodo storico ci è stata negata la pittura. Ricordo la Biennale di Venezia del 1981: non c’era esposta nemmeno un’opera pittorica. E questo era un atteggiamento solo italiano. Ho iniziato a dipingere animali per un mio piacere personale, poi, un mio amico gallerista romano mi chiese se potevo imprestargli un quadro dei miei da mettere in vetrina, voleva allestirla in un modo nuovo. Gli ho mandato la testa e il collo di una giraffa, una tela di due metri e mezzo d’altezza con sfondo un drappo viola, come si usava nei ritratti ottocenteschi. Appena esposta mi chiama chiedendomi quanto costasse: l’aveva venduta in un’ora!

Quindi s’è convinto a cambiare mestiere?

Erano gli anni 96/97, avevo appena deciso di chiudere la mia precedente attività e darmi alla pittura a tempo pieno. Allora i dipinti a soggetto faunistico erano una novità, in Italia non abbiamo mai avuto una forte tradizione di ritrattistica animale. E poi, 25 anni fa non esistevano né Instagram né Facebook con tutti quei gattini e cagnolini fotografati di continuo…

Escludendo lanimale vivo, cosa usa come modelli? Fotografie?

No, parto da un bozzetto fatto a mano, quindi vado a cercare tantissime foto, tutti particolari anatomici per studiare le spalle, la conformazione delle orecchie, quella degli occhi, della bocca, la prospettiva del muso. Devo tenere conto anche della dimensione reale del soggetto ritratto, facendo le debite proporzioni per ogni parte del corpo. Dipingo anche animali di profilo. In questi casi il soggetto ha l’occhio che ruota, anche se nella realtà non è così. È una mia interpretazione per renderlo più empatico.